Trump e il potere dei social

Trump e il potere dei social

Negli ultimi giorni, in seguito ai fatti di Capitol Hill, gli account del Presidente (uscente, ma ancora in carica) Donald Trump sono stati sospesi.

Ha iniziato Twitter, che ha silenziato l’account @realDonaldTrump, (e altri controllati dal tycon) e poco più tardi è toccato anche a Facebook e Youtube, che hanno deciso di mettere a tacere Trump e i suoi sostenitori.

Qualche domanda va posta

Ora, forse qualche seria domanda sarebbe sensato cominciare a porla. Cominciamo col dire che Trump, non è sempre stato antipatico ai social.

Nel 2006, infatti, ai tempi della sua “scalata”, nessun social lo avrebbe mai bannato … o meglio, la domanda se la sono certamente posta, ma un social di cosa vive? Vive, alla fine, del numero di utenti che lo scelgono per metterci dei contenuti (o per litigarci sopra!)

A quel tempo quindi, escludere un utente, pur scomodo, che però portava un tale traffico in rete, non rientrava nelle politiche di quelle aziende che, si sa, non sono certo delle No Profit.

Cosa è cambiato?

Oggi, gli stessi social che hanno guadagnato dollari fumanti sulle polemiche generate da Trump decidono per la sua esclusione.

Per altro lo hanno fatto senza ascoltare le parti, senza le dovute garanzie, senza un giudice indipendente, senza contestualizzare gli avvenimenti accaduti. Lo hanno fatto perché tecnicamente possono farlo.
Per quanto indesiderata possa essere la presenza di un’utente, e per quanto le piattaforme siano proprietarie, è opportuno decidere di buttarlo fuori?

Le piattaforme sono proprietarie

Cominciamo col dire una cosa, quando entro in un social network, do il consenso, oltre che alla gestione della privacy, anche a tutta una serie di “regole” che ci vengono esposte con i caratteri piccoli piccoli e con una serie di tecnicismi da avvocati.

Bene, questa moltitudine di regole, a cui io do il consenso, indicano in maniera abbastanza esplicita, che quando apro un’account a casa di Facebook, Twitter, Instagram e soci, le regole sono dettate dal social e non da me.

Ma è proprio vero? O meglio, la regolamentazione delle presenze o meno sui social, considerando l’impatto sociale e politico che questi ultimi hanno sulla vita delle persone, deve essere lasciato in mano alle piattaforme?

Precedente estremo e pericoloso

La censura di Trump, indipendentemente dal contenuto e dalle idee politiche, rappresenta un fatto molto grave ed anche un attacco alla democrazia, anche se ben celato sotto al velo della “volontà” di proteggere le persone dalla violenza.

Trump rappresenta milioni di cittadini negli USA che lo hanno votato come presidente. È il loro portavoce, e per altro ancora in carica, e regolarmente eletto.

La censura che gli è stata applicata segna un precedente estremo e pericoloso che sarà sfruttato dai nemici della libertà di parola in tutto il mondo!

Il controllo degli imprenditori privati !

È lecito chiedersi a questo punto se è giusto che degli imprenditori privati possano arrivare a controllare e decidere chi abbia il diritto di parlare alle persone e chi no.

Le piattaforme social stanno assumendo sempre di più un ruolo “editoriale” importante e stanno sempre più esercitando un potere soggettivo, arrogandosi di fatto un diritto di decisione sia in ambito sociale che politico.

Relazione tra parole di fuoco e pericolo imminente

Ma c’è al fondo di questa decisione una seconda importante questione.

Proviamo a capire. Le piattaforme hanno deciso di oscurare un contenuto o sospendere un account, in quanto hanno ritenuto che quei contenuti di “disinformazione” e “incitamento alla rivolta” potessero generare comportamenti socialmente pericolosi.

Questo vuol dire che, per la prima volta, le aziende che controllano i social, confermano l’esistenza di una relazione diretta tra contenuto dannoso (harmful) e comportamento socialmente pericoloso?. 

Relazione o discrezionalità?

Se cosi fosse, questa sarebbe una novità, in grado di mettere fine a secoli di dibattiti.

Ma i social dovrebbero fornire le prove empiriche, in base ai dati e alle ricerche che le piattaforme hanno a loro disposizione, della relazione tra «parole di fuoco» («words of fire») e pericolo imminente.

In caso contrario dovremmo concludere che le decisioni di Twitter e Facebook e Google in merito ai fatti accaduti, siano state assolutamente disrcezionali

I social sono uno spazio libero?

Tutti i social, in un modo o nell’altro, invitano confidenzialmente i propri utenti a condividere stati personali, la domandina apparentemente innocente di Facebook “A cosa stai pensando”, ci invita a consegnare spontaneamente nelle mani delle multinazionali dell’informazione, una serie di dati anche molto personali, che vengono poi usati per profilare, catalogare e alla fine influenzare, le nostre scelte.

Mentre ci vendono l’idea che i social rappresentino uno spazio libero e gratuito, (in pochi si chiedono quanto valgano le informazioni che gli utenti gli forniscono, ma questo argomento meriterebbe diversi capitoli), una serie di colossi della comunicazione si arrogano il diritto ed il potere di tapparci la bocca se le nostre idee non si conformano alle loro.

La consapevolezza

Trump viene censurato perché considerato “pericoloso”, mentre nello stesso momento, terroristi, jihadisti, trafficanti di esseri umani, dittatori e oppressori politici continuano a parlare al mondo intero attraverso i loro canali social liberamente e senza nessuna limitazione.

La censura, peraltro, dovrebbe conservare almeno un minimo di coerenza.

Se si mette la sordina al presidente americano ancora in carica per il suo incitamento all’eversione non si capisce perché si permetta all’ayatollah iraniano Khamenei, nel cui paese continuano le impiccagioni di dissidenti e le persecuzioni contro le donne di scrivere che «Israele è un cancro maligno in Medio Oriente che va rimosso e sradicato», e non ci vuole molta fantasia per immaginare come dovrebbe realizzarsi questo «sradicamento».

La giustizia in mano ai social?

A conclusione, credo che ci sia un’aspetto assolutamente da tener presente. Per quanto un atto compiuto da un presidente possa aver avuto conseguenze gravi, a stabilire se è un reato deve essere la giustizia americana, non Twitter o Facebook o Google, e nemmeno ciascuno di noi

Sono tanti gli argomenti su cui riflettere, in questa vicenda e in quelle ad essa connesse. Ma se da un lato questa realtà è spaventosa, rendersene conto, diventare consapevoli è il primo modo per non essere buttati nel calderone di quelli che fanno decidere tutto al potere di qualcun altro.

Pubblicato da Daniele Bottoni Comotti

Consulente informatico libero professionista, autore di due libri sulla storia della tecnologia, e blogger per diversi siti web di informatica.