La storia degli Hackers e i trenini elettrici

La storia degli Hackers e i trenini elettrici

Come tutte le storie che fanno sorgere dei miti, la nascita dell’haking è difficile da ricostruire con certezza, vi propongo qui la ricerca che ho fatto per il mio libro sulla storia della tecnologia.
E non stupitevi, perché per parlarvi della nascita dell’haking dovrò necessariamente partire dai trenini elettrici!
Siamo nell’inverno del 1958–59 al Massachussets Institute of Technology (Mit) il quartiere universitario di Boston.

Come accade in molte università americane, gli studenti si riuniscono al di fuori delle ore di studio, associandosi in “club”.

In particolare al MIT, l’idea di radunarsi nei vari club diventa anche un modo per scaricare la pressione legata all’ambiente universitario.

Il discorso di inizio d’anno del preside dell’istituto, destinato ai ragazzi del primo anno recitava…

“Guardate alla vostra destra, e guardate alla vostra sinistra, uno di voi tre non arriverà alla laurea”

IL TMRC

Uno di questi gruppi era il “Tech model railroad club” (Tmrc).

Se vi fosse capitato di entrare nella loro sede avreste capito immediatamente la caratteristica di questo club, che era tutta incentrata sull’enorme e dettagliato plastico ferroviario che occupava la maggior parte dello spazio a disposizione degli studenti.

La storia degli Hackers e i trenini elettrici
Immagine del The Tech Model Railroad Club (TMRC) al M.I.T. di Boston

Il modello funzionava, grazie ad un immenso intreccio di cavi, relè ed interruttori situati nella parte sottostante.

Il club assegnava ai suoi soci una chiave d’accesso ai locali, solo se lo studente che richiedeva di accedere al gruppo dedicava almeno quaranta ore di lavoro al plastico.

Il lavoro sul plastico

Il Tmrc era strutturato in due sottogruppi: Alcuni soci realizzavano i modellini dei treni e curavano la parte “scenografica” della riproduzione.

Altri, quelli che facevano parte della “Signal&Power Subcommittee” (S&P — sottocommissione per lo studio dei segnali e dell’energia), si occupavano di tutto ciò che accadeva sotto il modellino ferroviario.
In quegli anni, Il sistema telefonico universitario era gestito dalla compagnia dei telefoni Western Electric, che era anche uno degli sponsor dell’istituto, e spesso accadeva che i ricambi destinati al corretto funzionamento del sistema telefonico arrivassero nelle stanze del Tmrc per essere riadattati dai nuovi soci del club ed aggiunti al sistema ferroviario.
L’impianto elettrico che faceva muovere il grande plastico ferroviario veniva costantemente smontato e riassemblato, modificato e migliorato con grande dedizione e passione.

Un gergo esclusivo ed un abbigliamento particolare

I membri anziani stavano al club per ore, migliorando costantemente il sistema, discutendo sul da farsi, e lo fecero sviluppando un gergo esclusivo ed incomprensibile per gli estranei.

Gli appartenenti al gruppo erano perfettamente riconoscibili anche al di fuori del club, per il loro modo bizzarro di vestirsi: Camicia mezze maniche a quadretti, matita nel taschino, pantaloni “chino!”( chiamati così dai soldati inglesi in india quando decisero di tingere le proprie divise bianche con il caffè, per renderle mimetiche) e perenne bottiglia di coca-cola al fianco.

Essi erano da molti considerati “strani”, tanto che per questo genere di persone venne coniato un termine particolare; “Nerd”, tipico di chi ha una certa predisposizione per la scienza e la tecnologia ed è al contempo tendenzialmente solitario e con una più o meno ridotta propensione alla socializzazione.

Il termine Hack

Questi ragazzi così “particolari” assimilarono nel loro gergo il termine “hack”.

Questo vocabolo proveniva dal vecchio gergo del MIT, un termine che era stato a lungo usato per identificare gli scherzi che venivano fatti dagli studenti (come ad esempio quello di rivestire di alluminio la cupola che dominava l’università).

Essi però diedero una nuova vita a questo vocabolo.

Un hack per gli appartenenti al Tmrc era ad esempio, un intelligente configurazione di collegamenti, in grado di manovrare degli scambi per i binari del plastico.

L’hack era un virtuosismo tecnico

Per qualificarsi come un vero “hack”, l’impresa doveva avere in se qualcosa di veramente eccezionale, avrebbe dovuto dimostrare innovazione, stile, virtuosismo tecnico.

I più produttivi tra quelli che lavoravano al Signal and Power si definivano, con grande orgoglio, “hackers”.

Steven Levy, giornalista e autore del libro “Hackers, gli eroi della rivoluzione informatica” affermò che: “La tecnologia era il loro parco giochi.

Questi studenti, “strani”, erano in verità elementi intelligenti, brillanti, a volte geniali”.

La svolta

La vera svolta per il gruppo ci fu nel 1959, quando al MIT fu istituito il primo corso di informatica.

Il corso era incentrato sullo studio dei linguaggi di programmazione e in quell’occasione fecero il loro arrivo i primi mainframe, dismessi dall’esercito americano e consegnati all’istituto perché fossero utilizzati per fini di ricerca e sperimentazione.

E’ stato proprio cosi che la storia degli Hackers, abituati a lavorare sul progetto dei i trenini elettrici ha avuto il suo inizio.

Alcuni membri del S&P si iscrissero ai nuovi corsi, ma quello che li affascinò maggiormente fu la possibilità di “mettere le mani” sulle macchine.

La nascita degli Hacker

Cosi come accadde per il plastico, quei computer rispondevano appieno al principio ispiratore del gruppo, nasceva in questi anni l’etica haker.

Il primo elaboratore del Mit fu un IBM 704, posto al primo piano del palazzo 26.

Ma la vera “fucina” del talento di questi ragazzi era la leggendaria stanza “Eam”, l’Electronic account machiner, posta in un seminterrato dello stesso edificio.

Era qui che venivano “create”, mediante un apposito macchinario le grosse schede perforate, contenenti le parti di “codice”, cioè singole istruzioni per l’esecuzione dei programmi, che erano un insieme di molte schede.

Le schede, venivano poi trasportate al piano superiore, dove venivano “date in pasto” al 704, che provvedeva ad elaborarle.

La storia degli Hackers e i trenini elettrici

Una volta caricato il programma nel computer, questi l’avrebbe memorizzato e messo in coda a quelli già presenti e, quando possibile (spesso occorrevano diversi giorni … accompagnati da snervanti attese) avrebbe fornito il risultato.

Determinati ad infrangere le regole

In quel periodo l’utilizzo dei computer era sottoposto a una rigida burocrazia fatta di permessi e autorizzazioni, l’accesso alle macchine complesse e costose, era consentito solo a pochi tecnici, professori, ricercatori e qualche laureando.

Questo stato di cose non rappresentò però un limite per gli hackers, anzi, li rese ancor più determinati nel raggiungere i loro scopi.

Diedero quindi inizio alle prime intrusioni notturne, dove furono vincenti le doti di “lock hacking” (l’hackeraggio di serrature), in cui alcuni studenti si erano specializzati.

Qualsiasi espediente più o meno lecito diventava utile per essere dietro la consolle del computer.

Sempre Levy commenta che “dietro la consolle di un computer da un milione di dollari, gli hackers avevano il “potere” … e, d’altra parte, … diventava naturale dubitare di qualsiasi forza potesse cercare di limitare la misura di quel potere”.

La filosofia hacker

Fu proprio in questi anni, che nacque la filosofia degli hackers, l’evoluzione dai trenini elettrici ai calcolatori fu quasi naturale, e ne estesero semplicemente la logica.

Essi credevano fermamente che l’accesso ai computer, come a tutto quello che avrebbe potuto insegnare qualcosa su come funzionava il mondo, avrebbe dovuto essere assolutamente illimitato e completo.

Col passare del tempo l’università fece arrivare altri computer, Il 709 IBM, il 7090, il Tx-0, il Pdp-1 e successive versioni.

Gradualmente venne anche allentato il controllo sugli accessi agli elaboratori, anche e soprattutto a fronte dei risultati che questi studenti riuscirono a raggiungere.

Tra gli innumerevoli virtuosismi informatici realizzati dagli hackers, ci furono ad esempio il “compilatore musicale” di Peter Samson, realizzato nel 1961 e regalato, dallo stesso Samson, alla DEC ad un’unica e sola condizione, che lo distribuisse gratuitamente, fiero che altra gente avrebbe potuto usare il suo programma.

Spacewar

L’anno successivo, invece, venne ricordato per la creazione di “Spacewar”, il gioco creato da “Slug” Russell, la cui programmazione e il cui utilizzo aveva impressionato e catturato le energie di molti dell’istituto.

“Spacewar” cita sempre Levy, “Non era una simulazione con il computer ordinaria: diventavi effettivamente pilota di un’astronave da guerra”

Il lavoro del gruppo, favorì un altro passo utile a costruire l’etica hacker.

“l’impulso ad entrare nei meccanismi della cosa e renderla migliore aveva portato ad un consistente miglioramento. E ovviamente era anche divertentissimo”.

La storia degli Hackers e i trenini elettrici
Dan Edwards e Peter Samson mentre giocano a Spacewar! sul PDP

I ragazzi del MIT erano dominati da un innato desiderio di conoscenza, una conoscenza che non doveva avere limiti e che, sapevano, avrebbe migliorato il mondo.

hackeraggio della tecnologia

Il loro scopo e la loro meta fu l’hackeraggio della tecnologia, e per conseguirlo erano disposti a tutto.

Sacrificavano “vita sociale” ed ore di sonno, lavorando sui programmi anche per trenta ore di seguito.

Capitava sovente che lavorassero solo di notte per poter utilizzare al meglio e senza limiti di tempo gli elaboratori (che di giorno dovevano essere messi a disposizione anche degli altri studenti).

Avvertivano “l’hackeraggio non solo come un’ossessione e un enorme piacere, ma come una missione”.
Questi ragazzi studiarono i computer e i linguaggi di programmazione, li esplorarono a fondo al fine di sfruttarne al massimo le potenzialità.

Ispirati dagli Yippie

Bruce Sterling, Autore di fantascienza statunitense che ha contribuito a definire il filone cyberpunk, affermò che le vere radici dell’underground hacker moderno, pur essendo si sviluppato tra le menti universitarie, trova la sua vena ispiratrice in un movimento anarchico ora quasi dimenticato, quello degli Yippie.
Essi portarono avanti una rumorosa e vivace politica di sovversione.

I loro principi fondamentali, la promiscuità sessuale, un aperto uso di droghe, l’abbattimento di ogni potente che avesse più di trent’anni, e la ferma richiesta della fine della guerra del Vietnam, si concretizzò a livello pratico con l’affinamento di tecniche ingegnose per evitare ad esempio il pagamento delle chiamate telefoniche (phone phreaking), per ottenere “gratis” gas e corrente elettrica, o per “estorcere” dei comodi spiccioli agli innocenti parchimetri.

L’anarchia sociale

Queste tecniche di “anarchia sociale” sopravvissero al movimento Yippie, e nel 1971 Abbie Hoffman, uno dei leader carismatici del movimento, grande appassionato di telefonia pubblicò una newsletter chiamata “Youth International Party Line”, dove venivano descritte dettagliatamente le tecniche di pirateria a danno delle compagnie telefoniche.

La rivista TAP

La newsletter fu praticamente “divorata” dagli hacker che trovarono negli articoli approfonditi dettagli tecnici, formule, schemi di sabotaggio elettronico, e così via.

Dopo la fine della guerra del Vietnam, la rivista cambiò il nome in TAP, Technical Assistance Program, ma continuò ad essere una miniera di utili informazioni per chi intraprendeva la strada del “computer hacking”.

Passata alla fine degli anni settanta nelle mani di “Tom Edison” la rivista uscì di scena nel 1983 per risorgere nel 1990 ad opera di un giovane hacker del Kentucky, chiamato “Predat0r”.

Un altro personaggio legato al mondo del “TAP” fu Eric Corley, in arte Emmanuel Goldstein (pseudonimo tratto dal personaggio del romanzo 1984, di George Orwell), che nel 1984 a New York divenne autore di “2600 The Hacker Quarterly”, una rivista trimestrale interamente dedicata al mondo degli Hacker.

La seconda generazione

Dopo il primo e glorioso periodo del MIT, arrivarono gli hacker della “seconda generazione” tra la fine degli anni sessanta e l’inizio degli anni settanta.

Arrivarono i “maghi dell’hardware”, cioè di coloro che si dedicarono intensamente allo studio delle apparecchiature che compongono gli elaboratori.

La logica ispiratrice fu quella di spingere un elaboratore alle sue massime potenzialità, assemblare schede e processori allo scopo di trarne il miglior risultato possibile, il loro scopo, la loro filosofia era “liberare” anche la parte “fisica” della tecnologia.

L’articolo “La storia degli Hackers e i trenini elettrici”, è tratto dal mio libro sulla nascita della tecnologia, dal titolo “Dalla Preistoria al Web”. Se ti va è disponibile l’anteprima gratuita con le prima 100 pagine in formato PDF, Clicca sul pulsante qua sotto per scaricarlo

Pubblicato da Daniele Bottoni Comotti

Consulente informatico libero professionista, autore di due libri sulla storia della tecnologia, e blogger per diversi siti web di informatica.